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Gender cosa? tutte le bugie sulla “teoria del gender” di Rosario Coco
Come una teoria che non esiste sta mettendo sotto accusa associazioni, attivisti, persone LGBTI e tutti coloro che credono nella laicità e nell’uguaglianza dei diritti civili.
Ultimamente stiamo assistendo ad una forte campagna di disinformazione sulla presunta “teoria del gender”, volta a denigrare e a diffondere pregiudizi negativi sulle persone LGBTI (lesbiche, gay, bisex, trans, intersex) e a screditare le loro rivendicazioni di parità e uguaglianza. Questa teoria, infatti, secondo chi l’ha inventata, costituirebbe il “programma” di chi si batte per i diritti civili e contro le discriminazioni. In questa pagina sfateremo i principali tormentoni legati al “gender” e forniremo un insieme di link utili per approfondire l’agomento.
Ecco i principali tormentoni da sfatare: La “teoria del gender” impone la cancellazione delle differenze biologiche tra maschi e femmine – Falso!
La “teoria del gender” non esiste. Esistono gli studi di genere (che traduce l’inglese “gender”), nati per valorizzare le differenze tra le persone. Essi affermano che il sesso biologico è distinto dal genere, ovvero l’idea di “uomo” e “donna“ data in una società, la quale non dipende dalle differenze fisiche tra maschi e femmine. Oggi le donne accedono a professioni prima impensabili (soldata, manager) mentre molti uomini non hanno problemi a fare i lavori di casa.
L’educazione sessuale proposta dall’OMS vuole insegnare la masturbazione e altre pratiche sessuali ai bambini – Falso!
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), propone un’educazione adeguata ad ogni fascia d’età, che possa informare bambini e bambine sul proprio corpo per farle crescere in maniera libera e consapevole, prevenire complessi e patologie depressive e proteggerli dagli abusi. Il termine “masturbazione” è usato dall’OMS con un significato scientifico diverso da quello comune, in relazione alle varie fasi dello sviluppo sessuale.
I corsi “gender” insegnano che si può scegliere di essere omosessuali o di cambiare sesso a seconda di come ci si sente e pertanto minacciano la “famiglia tradizionale” – Falso!
I corsi “gender” non esistono, esistono corsi di educazione sessuale e affettiva indispensabili per contrastare il bullismo e insegnare ai bambini e alle bambine e promuovere la cultura del rispetto. Non si diventa gay, lesbica o trans, nè tanto meno lo si diventa perchè si impara a scuola che esistono l’omosessualità e la transessualità. In questo modo, invece, si evitano le discriminazioni e le sofferenze che investono le persone LGBTI presenti nelle classi, i loro amici, le loro famiglie e le persone eterosessuali vittime anch’esse di omofobia. Affermare, infine, che tutti e tutte hanno diritto a costituire una famiglia non costituisce minaccia alcuna e consente a ciascuno di vivere in libertà.
Insomma, con la scusa della difesa della famiglia tradizionale e dei bambini e gridando persino all’allarme di una fantomatica “dittatura del gender”, si accusano persone, associazioni e attivisti LGBTI di promuovere un’ideologia che non esiste. Si continuano ad instillare nelle menti delle persone pregiudizi e convinzioni completamente false e discriminanti, che in molti casi generano sofferenze, disadattamento, depressione e suicidi tra le giovani generazioni LGBTI, provocando forti disagi anche tra i loro amici e nelle loro famiglie.
La “propaganda anti-gender” rafforza le convinzioni di tutti quelle madri e quei padri che purtroppo già non accettano i loro figli e le loro figlie e sono in procinto di abbandonarli o picchiarli, rafforza la diffidenza e l’ignoranza già presente in molte persone violente, fortifica un clima di intolleranza che mette a rischio l’incolumità migliaia di persone (Secondo l’ISTAT le persone LGBTI in Italia sono 3 milioni). Per questi motivi, informarsi, condividere e informare diventa assolutamente fondamentale.
Gli inventori della “teoria del gender” credono che le differenze “uomo-donna” siano legate al sesso biologico e quindi predeterminate.
di Chiara Saraceno
da Repubblica del 27/12/2022
La decisione della ministra Roccella per i documenti costringe categorie di genitori a mentire
Un bambino può avere solo un papà e una mamma, non due papà, o due mamme. Se la realtà non corrisponde a questo principio, secondo la ministra della Famiglia, della Natalità e delle Pari opportunità Eugenia Roccella, le alternative sono solo due. Quella largamente preferita è che il bambino risulti ufficialmente orfano di un genitore, negando al genitore non biologico la possibilità di riconoscere quel bambino come proprio/a figlio/a e a questi di avere legalmente, appunto, due genitori. Se in questo modo si rende vulnerabile il bambino, sottraendogli il diritto legale alla protezione e mantenimento da parte di entrambi i genitori che lo hanno voluto, pazienza.
Si tratta, per Roccella, ma anche Salvini, Meloni e tutta la maggioranza di governo, di vittime secondarie, anzi sacrificali e sacrificabili, di una battaglia in difesa dei diritti dei bambini ad avere, appunto, un papà e una mamma. Come se togliere il diritto di un bambino ad avere, anche legalmente, due mamme piuttosto che due papà indebolisse quello di chi ha genitori nella formazione standard. Alla faccia delle pari opportunità tra bambini, oltre che tra adulti. La seconda opzione, nel caso "sfortunato" che un tribunale abbia riconosciuto la titolarità genitoriale ad entrambe le mamme o papà, è negarne l'evidenza sui documenti ufficiali, costringendo gli ufficiali anagrafici a dichiarare il falso e uno dei due genitori a dichiarare una appartenenza di sesso che manifestamente non ha, né desidera avere.
In base a questa granitica convinzione, la ministra della Famiglia Roccella, con il sostegno e su mandato della maggioranza di cui fa parte, ha ripristinato l'obbligo legale di indicare sulla carta di identità dei minorenni la dizione "padre" e "madre" come unica formulazione possibile. Non è bastato a trattenerla l'osservazione del tribunale che aveva accolto il ricorso di due mamme, secondo la quale utilizzare questa formulazione nel caso vi siano genitori dello stesso sesso, costituisce una "rappresentazione alterata, e perciò falsa, della realtà", paventando "gli estremi materiali del reato di falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico", cioè un reato penale. Nel governo dei condoni si troverà l'escamotage per depenalizzare questo reato, anzi per premiarlo, punendo invece chi cercherà di rappresentare correttamente la realtà, ovvero l'esistenza di genitori dello stesso sesso.
Con l'arroganza propria di chi detiene un po' di potere sulla vita altrui, la ministra ha invitato in modo sprezzante (e del tutto non democratico) chi viene danneggiato dalla sua decisione a fare ricorso. Ben consapevole che questo scoraggerà i più, già scoraggiati dal lungo, problematico e costoso iter giudiziario che nel nostro Paese continua ad essere richiesto ai genitori dello stesso sesso che vogliono far riconoscere la propria bigenitorialità e ai propri figli il diritto ad avere due genitori legali a tutti gli effetti, a prescindere dalla biologia. Ma l'arroganza e l'ideologia possono anche produrre degli effetti paradossali. Proprio chi, come Roccella e compagni, si batte strenuamente contro la cosiddetta teoria gender, contro ogni distinzione tra l'appartenenza di sesso così come definita dalla biologia e identità di genere definita dal sentirsi uomini piuttosto che donne, opponendosi con successo al disegno di legge Zan, obbligando i genitori dello stesso sesso a distribuirsi nelle caselle dicotomiche "padre" e "madre", di fatto li costringe a designarsi in un modo che contrasta con la loro identità sia sessuale sia di genere. Costringe padri e madri perfettamente a loro agio con la propria identità sessuale e di genere ad assumere legalmente l'altra.
Un bel paradosso, al di là delle possibili conseguenze penali per falsa dichiarazione e del disagio che una simile rappresentazione della realtà può provocare in genitori e figli ogni volta che devono utilizzare la carta d'identità o il passaporto. Con quale legittimazione si potrà negare la carriera alias nelle scuole, o rifiutare che ci si possa definire in base a come ci si sente di essere, se lo Stato, in questo caso, lo impone con così arbitraria violenza?
La carriera alias è già realtà in numerose scuole, attualmente ce ne risultano 160. Ricordiamo brevemente che si tratta della possibilità che gli istituti scolastici danno ai propri studenti di utilizzare all’interno della scuola il nome da loro scelto invece di quello anagrafico. Non si tratta affatto di una ‘adesione all’ideologia gender’ - ideologia presente solo nell’immaginario di un cattolicesimo oltranzista - bensì della scelta più che lecita, anzi doverosa, di rendere la scuola un luogo dove tutti, e anche i giovani transgender, possano trovarsi a proprio agio. La finalità è quella di evitare episodi di bullismo nei loro confronti e di prevenire il conseguente abbandono scolastico, che recenti studi stimano a 43% per gli studenti transgender tra i 12 e i 18 anni. Si tratta quindi di un dovere di solidarietà sociale e di una tutela dei diritti di tutti gli studenti, inclusi quelli che non si identificano con il genere anagrafico di appartenenza. Questi ragazzi e ragazze esistono e noi lo sappiamo bene perché sono nostri figli e conosciamo la loro sofferenza in un ambiente che li discrimina o ancor peggio nega la loro stessa esistenza. Il fatto che esistano è confermato, se anche ce ne fosse bisogno, dall’Istituto Superiore di Sanità che stima tra 0,5-1,3% la percentuale di persone transgender e considera ‘naturali’ tutte le identità di genere, termine che indica ‘come una persona si definisce rispetto al genere a cui si sente di appartenere’. Queste identità, negate in passato, emergono oggi con minore difficoltà e tante sofferenze possono venire evitate. Quanto alla libertà educativa delle famiglie, non riteniamo che possa essere messa in dubbio nelle scuole che adottano la ‘carriera alias’, a meno che si intenda libertà di discriminare. L’educazione poi riguarda scelte e valori e non certamente l’identità delle persone. Di recente la Fondazione Veronesi ha ricordato in un convegno: ‘Oggi vigono ancora diseguaglianze e discriminazioni sessuali e di genere, che ledono alla base la dignità della persone e il rispetto e la valorizzazione delle diversità’. Non adottare la carriera alias perpetua la situazione descritta da Fondazione Veronesi, e per questo Agedo è attiva perché tutte le scuole attuino questa forma di tutela, per una società inclusiva e rispettosa dei diritti di tutti.
Fiorenzo Gimelli, Presidente di AGeDO Nazionale
Rispondiamo alla Ministra Eugenia Roccella che, nella sua lettera al Corriere della Sera, nella quale afferma che tutte e tutti nasciamo da un padre e una madre. Sottintende forse che anche quei genitori, sposati ed eterosessuali che ricorrono in Italia legalmente alla Procreazione Medicalmente Assistita, siano meno genitori di altri? O non siano genitori affatto? E se già intende questo, figuriamoci poi riconoscere quelle famiglie dove ad essere genitori sono due mamme e due papà.
A questo e ad altri punti, rispondiamo con fermezza, attraverso le parole della nostra presidente Alessia Crocini, ribadendo un punto chiave: alle nostre figlie e ai nostri figli non mancano genitori, mancano diritti!
Elena Broggi
vicepresidente AGEDO Nazionale
Cara Eugenia Roccella, vorrei rispondere alla sua affermazione, che rimbalza da giorni sui media, che si nasce tutti da un padre e da una madre. Sono Alessia Crocini e sono la presidente di Famiglie Arcobaleno, una associazione che riunisce genitori e aspiranti genitori LGBTQI+ e che si batte per la piena parità dei diritti dei bambini con due mamme o due papà. Sì, proprio quelli di cui lei, da Ministra della Repubblica, nega l’esistenza.
La nega quando afferma che TUTTI saremmo nati da una madre che ci ha partorito e da un padre biologico. Eppure nel nostro paese da anni sono perfettamente legali i percorsi di Procreazione Medicalmente Assistita, anche la cosiddetta eterologa. Quei percorsi che le coppie formate da un uomo e una donna possono fare per diventare genitori e superare eventuali problemi di sterilità. Percorsi non solo legali ma pagati dal Servizio Sanitario Nazionale che consentono oggi a coppie eterosessuali di diventare genitori attraverso la donazione di ovuli e seme. E che permettono ogni anno a migliaia di coppie di diventare mamme e papà pur non avendo nessun legame biologico con i propri figli.
Lei pensa quindi che non siano veri genitori? Vere madri e veri padri?
Ecco, le coppie dello stesso sesso, fanno lo stesso identico percorso in paesi in cui questo è perfettamente legale.
Le coppie di mamme accedono a una donazione di seme in moltissimi paesi europei, partoriscono in Italia bambini che però, a differenza dei bambini nati nello stesso identico modo da una mamma e da un papà, non hanno diritto a vedersi riconosciute entrambe le loro madri dalla legge italiana.
Lei sa meglio di me che da quando esiste la contraccezione le donne hanno potuto decidere se, quando e come diventare madri e con la diffusione delle tecniche di fecondazione, anche le persone colpite da sterilità possono diventare genitori. Il se, quando e come diventarlo, cara Roccella, non è affar suo ma è nella libertà di ognuno di noi.
Genitori biologici, genitori adottivi, genitori affidatari, genitori intenzionali: sono scelte che riguardano l’intimità di ogni singola persona.
Da quando la scienza ci consente di sopravvivere a malattie mortali e di diventare genitori, la genitoriaità e la capacità di procreare non vanno sempre di pari passo. Ma questo a ben vedere succede dalla notte dei tempi: i bambini nel mondo sono sempre stati cresciuti, amati, protetti ed educati da chi ha donato loro il proprio patrimonio genetico? È la lotteria del DNA che ci rende genitori o la responsabilità che ci assumiamo nei confronti dei nostri figli di amarli e curarli in ogni aspetto della loro crescita? Ed è proprio quello che la mia associazione chiede da 18 anni: essere riconosciuti come genitori perché anche noi persone gay, lesbiche, bisessuali, transgender e queer lo siamo, da sempre.
Siamo genitori ogni giorno della nostra vita e della vita dei nostri figli, anche in assenza delle più elementari tutele legali e a prescindere da quanto del nostro DNA alberghi in loro. Anche in un paese come il nostro dove le stesse istituzioni, e lei ne è un esempio lampante, non perdono occasione per attaccarci e denigrarci.
Cara Roccella, io sono MADRE di un bambino di 8 anni che non ho partorito e con cui non ho legami biologici, riprendendo quanto scritto da lei: umilmente penso che la paura della morte non si sconfigga con la sicurezza di trasmettere il proprio patrimonio genetico ma con la certezza di lasciare al mondo figli e figlie fortemente voluti e infinitamente amati.
ALESSIA CROCINI
Presidente di Famiglie Arcobaleno
Associazione di genitori e aspiranti genitori LGBTQI+
ProVita: “Diffidate le scuole della carriera alias”.
Gli studenti e i genitori: "Non ci sono motivi giuridici per cancellarle"
di ELENA TEBANO
Corriere della Sera
«Mio figlio ha seguito un corso di Pronto soccorso a scuola, ma non l'ha concluso perché sul certificato ci sarebbe stato il suo nome anagrafico e non quello che usa in classe». Anna Maria Fisichella, madre di un ragazzo transgender che frequenta un liceo milanese e volontaria di Agedo (l'associazione che riunisce familiari e amici delle persone lgbt+), spiega così l'importanza della carriera alias, ovvero il meccanismo che permette alle studentesse e agli studenti transgender e non binari di usare in classe, sui registri e per le verifiche, il nome di elezione, cioè quello che corrisponde alla loro identità di genere e non al sesso biologico con cui sono stati registrati all'anagrafe.
Per i ragazzi e le ragazze transgender essere identificati con un genere diverso da quello in cui si riconoscono è così doloroso che pur di evitarlo spesso non finiscono gli studi. Il tasso di abbandono scolastico per le persone transgender tra i 12 e i 18 anni in Italia, spiega Agedo, è del 43%, altissimo: lascia quasi uno su due. Per scongiurare queste e altre conseguenze sempre più istituti italiani hanno introdotto le carriere alias, spesso su richiesta dei genitori preoccupati per i loro figli.
Tante scuole che hanno attivato la carriera alias, legittima decisione presa dai consigli d'istituto nell'ambito della legge sull'autonomia scolastica, rifiutano la pesante intimidazione dei gruppi antigender, proseguendo, con decisione, la strada intrapresa.
Liceo Artistico di Ravenna, "Niente passi indietro"
Istituto Veronesi di Rovereto: ''Non cancelleremo regolamenti, continueremo con la cultura del rispetto''
Per saperne di più:
Diffida al Liceo Artistico di Ravenna per l’uso della carriera alias.
Il dirigente Dradi: “adottata da 5 studenti, non faremo passi indietro”
L'artico completo qui:
https://www.ravennanotizie.it/cronaca/2022/12/10/diffida-al-liceo-artistico-di-ravenna-per-luso-della-carriera-alias-il-dirigente-dradi-adottata-da-5-studenti-non-faremo-passi-indietro/?fbclid=IwAR2b6UY-qV2B_bxJ8RmYB_PL_ppJjwg6eSzRkra7Fw354jOm5klbhB7vlc0
Carriera Alias, dopo la diffida di ProVita la risposta dell'istituto Veronesi di Rovereto: ''Non cancelleremo regolamenti, continueremo con la cultura del rispetto''
Nei giorni scorsi Pro Vita, attraverso una nota, aveva spiegato di aver lanciato una campagna legale “contro l’ideologia gender in Italia”, notificando circa 150 diffide. Oggi la risposta che arriva dall'istituto G. Veronesi di Rovereto con la direttrice Laura Scalfi che sulla carriera Alias spiega: "È evidente che l'istituzione scolastica sopperisce ad un vuoto normativo, ma dell'inerzia dell'istituzione non possono pagarne il prezzo gli studenti"
L'artico completo qui:
https://www.ildolomiti.it/politica/2022/carriera-alias-dopo-la-diffida-di-provita-la-risposta-dellistituto-veronesi-di-rovereto-non-cancelleremo-regolamenti-continueremo-con-la-cultura-del-rispetto?fbclid=IwAR1tVQ-be8DwCW5kRZJk3Jye6-H6-u9f7IAhOUXY56XMJem3NQWNc6uyC94
In Spagna, in vista del Natale, è entrato in vigore il nuovo codice di autoregolamentazione nella pubblicità dei giocattoli. Questo provvedimento nasce con l'intento di promuovere una libera espressione dei bambini, un'immagine plurale e priva di stereotipi e di ruoli legati al genere. L'accordo è stato siglato tra le aziende produttrici di giocattoli (Aefj), le agenzie pubblicitarie e il governo spagnolo, rappresentato dal ministro delle Imprese Alberto Garzón.
Chiediamoci perchè in Italia immagini come questa facciano così scalpore o paura, sovvertendo la norma, gli immaginari e tradendo il patriarcato. Cosa può esserci di sbagliato in un mondo che mette al centro la cura da parte di ciascuna persona, indipendentemente dal genere. La spontaneità dei bambin3 salverà il mondo.
Guardate il video promosso dal Governo spagnolo: https://www.youtube.com/watch?time_continue=102
L’attacco di ProVita alla ‘carriera alias’ è scattato tramite una diffida, priva di qualsiasi fondamento giuridico, alle scuole che in Italia hanno già adottato questo strumento, studiato per prevenire il bullismo transfobico e il conseguente abbandono scolastico da parte delle/i giovani con varianza di genere.
(*) vedi sotto per saperne di più su ‘carriera alias’ e ‘varianza di genere’
Il parere unanime dei giuristi interpellati da Agedo e da GenderLens conferma che l’applicazione di questi strumenti da parte delle scuole, tramite l’adozione del Regolamento da parte del Consiglio d’Istituto, avviene nel pieno rispetto della legge.
L’anomalia consiste piuttosto nel fatto che l’adozione di questo provvedimento sia lasciata alla discrezionalità dei singoli istituti, se più o meno sensibili al benessere dei loro studenti. Sarebbe opportuno che il Ministero dell’Istruzione si facesse promotore di una base normativa che trasformi la prassi, oggi affidata alla discrezionalità, in un modello da applicare in tutti gli istituti al fine di tutelare il principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione italiana.
Si invitano quindi le scuole a non dare seguito a ciò che appare, sia nella forma che nei contenuti, un vero atto intimidatorio e a
Secondo la propaganda, inoltre, le diffide avrebbero già sortito il loro effetto facendo recedere alcune scuole dall’adozione della carriera alias. Nemmeno questo corrisponde al vero, visto che non ci è giunta da alcun genitore l’avviso di aver ricevuto la comunicazione (obbligatoria) di avvio di un procedimento di revoca dell’accordo fra scuola e famiglia.
Ci risulta anzi la determinazione delle scuole che abbiamo sentito in questi giorni a mantenere salde le loro decisioni.
Siamo quindi nel campo di ciò che le persone sono, non in quello di quello che scelgono.
“Chi ha promosso questa iniziativa non ha nessun titolo per farla. L’impressione è che questo faccia parte di una strategia generale che mira a ostacolare qualsiasi avanzamento dei diritti nel nostro Paese” commenta il Presidente di Agedo Nazionale Fiorenzo Gimelli. “La finalità della ‘carriera alias’ è quella di tutelare giovani vite, non di diffondere ideologie che esistono solo nella immaginazione di chi vede complotti contro la propria visione del mondo”.
Per comprendere la necessità di introdurre la carriera alias, basti pensare che, secondo uno studio scientifico sulla situazione italiana, il 43% delle persone transgender di età compresa tra i 12 e i 18 anni lascia la scuola prima di aver terminato gli studi. Evitare loro il profondo disagio di non essere chiamate/i con il nome di elezione è un dovere nei confronti di queste giovani persone.
“Parlare a scuola di identità di genere e tutelare chi è transgender non spingerà mai nessuno a intraprendere un percorso complicato di transizione”, conclude Gimelli. “Non si tratta di qualcosa che si fa per moda, non è ‘contagioso’, non è frutto dell’educazione o dell’ambiente in cui si vive o di modelli, ma è una delle possibilità della natura umana. I bambini e bambine, che percepiscono la loro identità di genere molto presto, non hanno alcunché da temere in un ambiente che accoglie tutte le unicità, ma solo il vantaggio di far parte di un mondo migliore per tutti”.
(*) La carriera alias è un accordo di riservatezza tra la scuola, il/la giovane studente/ssa con varianza di identità di genere e la sua famiglia (nel caso di minorenni).
Si tratta di un profilo burocratico temporaneo solo ad uso interno, senza alcuna modifica anagrafica legale. Con una semplice procedura viene inserito nel registro elettronico il nome scelto dalla persona nel percorso di affermazione di genere al posto di quello assegnato alla nascita.
Questo evita l’imbarazzo di dover continuamente spiegare la propria condizione, allontanando il pericolo di subire episodi di bullismo.
(*) La varianza di genere. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, l’identità di genere è “come una persona si definisce rispetto al genere a cui si sente di appartenere (…). Tutte le identità di genere sono naturali (normali) e la varianza riguarda circa lo 0,5-1,3% della popolazione”.
Leggi il Comunicato di GenderLens, con cenni alla letteratura scientifica che si occupa di salute delle persone trans più giovani
Leggi il parere legale dell’avv. Antonio Schillaci
Leggi un’analisi dello studioso Massimo Prearo
Leggi le riflessioni dell’avv. GianMarco Negri, sindaco di Tromello e persona transgender
Leggi il post di Camilla Vivian, Mio figlio in rosa che fa il punto sulla carriera alias, con confronti con la situazione in Spagna
Comunicato stampa di Genderlens
Recentemente ad alcune delle scuole che hanno regolamentato la carriera alias, ovvero hanno dato la possibilità alle giovani persone trans di essere riconosciute a scuola con il genere con cui si identificano, è stata notificata una diffida da parte dei gruppi ProVita e Generazione Famiglia.
Carriera Alias nel pieno rispetto della legge
La diffida inviata NON ha alcun fondamento legale, le persone giuriste oltre che avvocate interpellate in queste ultime settimane, dalle associazioni GenderLens e Agedo, sono concordi nell’affermare che la condotta delle dirigenze scolastiche che hanno applicato i regolamenti approvati dai consigli di istituto è assolutamente legittima e che l’applicazione della carriera alias avviene nel pieno rispetto della legge.
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https://www.genderlens.org/2022/12/07/giu-le-mani-dalla-carriera-alias/
Lo aveva annunciato a inizio mandato l’assessore alle Politiche Sociali, Jacopo Rosatelli, e ora potrebbe concretamente diventare realtà: a Torino le persone transgender potranno scegliere il nome sulla tessera bus. Il Comune e Gtt hanno infatti avviato un dialogo per far sì che il progetto diventi realtà, conferma che arriva anche dall’assessorato alla Mobilità.