il tipo, la modalità, la forma stabile e persistente dell’attrazione sessuale, affettiva e sentimentale di una persona per un’altra. Se si prova attrazione per persone dell’altro sesso/genere l’orientamento si dice eterosessuale; se dello stesso sesso/genere, omosessuale; mentre se si prova attrazione indifferentemente per entrambi i sessi/generi si dice bisessuale.
No, non è un comportamento strano e non è una malattia. Fin dal 1973 l’American Psychiatric Association (APA) ha cancellato l’omosessualità dalla lista del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM); successivamente, nel 1990, anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha definito l’omosessualità una variante naturale della sessualità umana. Tuttavia, veniamo educati in una cultura etero-normativa e le altre forme di sessualità e/o di identità che non rientrano in questo modello possono facilmente essere percepite come strane o perverse. Chiedere a una persona di comportarsi in maniera contraria alla propria natura, o anche al proprio orientamento sessuale, vuol dire mettere in serio pericolo la sua salute e il suo equilibrio psicologico. Le sessualità omosessuale e bisessuale sono un modo naturale e legittimo di esprimere i propri sentimenti e di vivere insieme agli altri, al pari di quella eterosessuale.
È il sentimento interiore e profondo di essere di un genere, lungo lo spettro che va dal femminile al maschile. Si possono usare i termini transgender e gender non conforming (che non sono sinonimi) per indicare tutte quelle persone che non riescono a riconoscersi o a identificarsi nei modelli socioculturali disponibili di identità e ruolo di genere, avvertendoli come troppo restrittivi per l’espressione di sé. L’identità di genere rappresenta una specie di sintesi tra il vissuto personale-psicocorporeo e le rappresentazioni sociali e culturali possibili e presenti. Le scienze umane sostengono che il primo nucleo stabile della nostra identità di genere si formi entro il terzo anno di vita.
L’orientamento sessuale, qualunque esso sia, non è mai volontario, è un aspetto strutturale di sé, unico come il timbro di voce o l’impronta digitale. A oggi la spiegazione che gode di maggior credito sul perché si sia in un modo piuttosto che in un altro è quella secondo cui l’orientamento sessuale sarebbe il risultato di una complessa interazione tra fattori biologici, psicologici, sociali e culturali, come accade per molte altre caratteristiche individuali.
Nello stesso modo in cui avviene agli individui con orientamento eterosessuale. Innamorandosi, provando attrazione, interesse e voglia di frequentare romanticamente e sessualmente qualcuno. La maggioranza degli individui inizia a scoprirlo già nella preadolescenza ma, dato che l’orientamento sessuale di gay, lesbiche, bisessuali è, per lo più, ancora socialmente stigmatizzato, può essere necessario un tempo più lungo per riconoscere i propri sentimenti, soprattutto se questi vengono repressi.
Come si può parlare all’adolescente che manifesta dubbi sul proprio orientamento sessuale-romantico?
È fondamentale per gli educatori e per i genitori avere sempre ben chiaro che l’orientamento sessuale/romantico è l’attrazione sessuale, affettiva e sentimentale di una persona per un’altra. Ogni adolescente ha il diritto di scoprire, in libertà e senza timore, il proprio orientamento. I sentimenti che prova non sono qualcosa di passeggero. Sostenere questo significa non manifestare rispetto per lei/lui e interferire nello sviluppo della sua personalità.
La famiglia dovrebbe essere accogliente nei confronti di una figlia e/o di un figlio omosessuale o transgender. Tuttavia, quando i genitori non sono adeguatamente informati e preparati riguardo all’omosessualità, può accadere che provino disagio e sofferenza. In tal caso è possibile che sperimentino diversi vissuti emotivi e affettivi negativi: shock, sentimenti di colpa, senso di solitudine, ricerca di una causa o di un «colpevole», necessità di capire, bisogno di informazioni e di confronto. In ogni caso, è bene che madri e padri sappiano che l’orientamento sessuale e l’identità di genere non dipendono dall’educazione famigliare, ma sono alcune delle tante peculiarità della persona. Esistono, comunque, genitori che, avendo già affrontato e superato tali passaggi, lavorano oggi attivamente nel volontariato per informare e sostenere anche dal punto di vista emotivo e relazionale le famiglie che attraversano ancora la fase del disagio.
Il genitore che accoglie con serenità e amore la condizione di persona transgender della figlia o del figlio e che comprende sino in fondo il suo bisogno di procedere a una transizione di genere pone le condizioni per una trasformazione personale che può assumere il carattere di un processo che fa parte della crescita. Malgrado il suo carattere di eccezionalità, la condizione di non conformità di genere può essere vista e considerata come un processo che accade a una ragazza o a un ragazzo che va in cerca di un significato più autentico di sé, che è possibile trovare solo assumendo le caratteristiche di genere che rispecchiano l’identità sessuale psicologica, diversa da quella assegnata alla nascita.
L’orientamento sessuale non va confuso con l’identità di genere. L’omosessualità, come già detto, è uno degli orientamenti sessuali/ romantici, mentre la condizione di transessualità è una delle varianti possibili dell’identità di genere. In estrema sintesi, l’orientamento riguarda chi mi piace, la varianza chi sono.
Ragazze e ragazzi omosessuali o transgender, se non conoscono altri gay, altre lesbiche o altre persone trans, si sentono soli e non hanno modelli di riferimento. Le informazioni che ricevono sono quindi spesso distorte e cariche di pregiudizi. Possono essere «bollati» come «diversi», derisi, insultati, aggrediti e, purtroppo, può accadere che vengano rifiutati anche dalla stessa famiglia di origine. Questo rischia di provocare in loro un forte senso di inadeguatezza, di solitudine, di angoscia e di paura.
In senso stretto, è la decisione di una persona gay, lesbica, bisessuale, o transgender di svelare e rendere pubblico il proprio orientamento sessuale e/o la propria identità di genere. Varia da persona a persona. Accade spesso che si faccia coming out dapprima o soltanto con amiche o amici piuttosto che con i propri famigliari, di cui si temono il rifiuto, il giudizio negativo o il disprezzo.
Innanzitutto, sarebbe opportuno porsi in una posizione di ascolto ed evitare di reagire in maniera impulsiva per non far pesare ingiustamente sulla persona eventuali sentimenti di delusione, di sofferenza o di rifiuto, che ci si trovi in famiglia, a scuola, al lavoro o in altri contesti sociali. È fondamentale, pertanto, prepararsi e informarsi su queste tematiche, possibilmente con l’aiuto di libri, centri di ascolto, esperti e associazioni LGBT+ o associazioni di volontariato come AGEDO.
L’omofobia è l’insieme degli atteggiamenti/comportamenti di condanna e di rifiuto dell’omosessualità. Diversamente da quanto può far pensare l’etimologia del termine, la persona omo-lesbo-bi-transfobica non è clinicamente affetta da una fobia (come può essere l’aracnofobia, ossia la paura irrazionale per i ragni), ma esprime disagio, avversione e disprezzo per le persone omosessuali, bisessuali, transgender, sulla base di stereotipi e di pregiudizi. Per questo a volte si preferisce usare il termine omo-lesbobi-trans-negatività. Questi atteggiamenti possono avere molte facce e che vanno dalla battuta canzonatoria all’insulto, dall’aggressione verbale a quella fisica. Determina la discriminazione ed è, comunque, violenza nei confronti di altre persone.
Un’offesa verbale tende a ridicolizzare, disprezzare e/o negare una parte dell’identità di una persona, provocandole senso di vergogna e di colpa, e minandone l’autostima. Nel caso di persone LGBT+, gli insulti verbali rendono particolarmente problematico il coming out. Se rimaniamo nella posizione di testimoni indifferenti verso le offese verbali, i bulli si sentono autorizzati a continuare a offendere e aggredire, mentre le vittime possono sentirsi indifese e sole. Questo tipo di bullismo nelle scuole può essere acuito da un simile disinteresse collettivo e sociale presente sia in studenti che in docenti.
In una relazione di coppia eterosessuale, i ruoli che per stereotipo e convenzioni sociali vengono attribuiti alla donna (far da mangiare, accudire i figli) e all’uomo (lavorare fuori casa, ecc.) sono forse fissi, o non dipendono piuttosto da altri fattori come il tempo a disposizione, le attitudini personali, il piacere di svolgere una certa attività piuttosto che un’altra? Lo stesso vale per le coppie omosessuali: ognuno contribuirà al ménage famigliare come può e secondo le sue predisposizioni. Anche per quanto riguarda i ruoli sessuali, dal punto di vista affettivo intrapsichico e comportamentale, come si fa a definire il ruolo maschile e quello femminile? Essere «attivi» o «passivi» è sinonimo di avere un ruolo sessuale maschile o un ruolo sessuale femminile? L’esperienza ci dice che le cose non sono così semplici. Anche per le coppie omosessuali la sessualità si esprime in una grande varietà di comportamenti che non sono sempre uguali, né vengono stabiliti e concordati preventivamente, e che riguardano comunque solamente la coppia stessa.
Le relazioni tra persone gay, lesbiche, bisessuali, transgender e gender non conforming sono discriminate sotto molti aspetti. In campo giuridico, in molti Paesi in cui le coppie composte da due donne o da due uomini, o in cui uno o entrambi i partner siano persone transgender, non sono legalmente riconosciute, esistono una serie di limitazioni, ad esempio rispetto ai diritti relativi all’eredità, alla casa, alle visite al partner in ospedale, per non parlare di quelle aree dove vige ancora la pena di morte o la segregazione. In campo sociale e culturale raramente tali relazioni, ad esempio, sono menzionate nei libri di scuola e nei manuali educativi. Questo per il fatto che il modello di coppia e lo stile di vita proposti e legittimati sono ancora quasi unicamente quelli eterosessuali (ciò che si dice «eteronormatività»).
Il 20 maggio del 2016, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha firmato la Legge n. 76 sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso, comunemente chiamata Cirinnà dal nome della senatrice del Partito Democratico relatrice del provvedimento. Questa normativa stabilisce che due persone maggiorenni dello stesso sesso possono costituire un’unione civile mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale dello stato civile e alla presenza di due testimoni, scegliendo se vogliono di assumere un cognome comune per la durata stessa dell’unione. Nell’ordinamento italiano, l’unione civile è un istituto giuridico di diritto pubblico comportante il riconoscimento giuridico della coppia formata esclusivamente da persone dello stesso sesso e finalizzato a stabilirne diritti e doveri reciproci in modo simile a quelli previsti nel matrimonio tra persone di diverso sesso. Nell’unione civile non sussiste l’obbligo alla reciproca fedeltà né, successivamente alla separazione, all’assegno di mantenimento e agli alimenti, salvo che tra le parti non intercorra un diverso accordo scritto. Non è concesso il diritto all’accesso alla fecondazione assistita eterologa, all’adozione o all’affido anche relativamente all’ipotesi di adozione del figlio del proprio partner (stepchild adoption), che però risulta realizzabile tramite la disciplina delle adozioni in casi particolari (Legge 184/1983, art. 44, lett. d).
Chi è giovane LGBT+ cresce in una società in cui sentimenti e relazioni non etero generalmente non vengono apprezzate; per sviluppare la propria identità e costruirsi una buona autostima, può aver bisogno di spazi in cui discutere, confrontarsi, aiutarsi, condividere ed esprimere i propri sentimenti senza la continua esposizione a spiacevoli sguardi e a offese. La comunità LGBT+ non è un ghetto: anche questo è uno stereotipo frutto della cultura omonegativa in cui viviamo.
No, perché esistono tanti modi di essere gay o lesbica quanti sono gli individui che hanno tale orientamento.
Possono e li hanno: da unioni eterosessuali precedenti, ad esempio, o per mezzo di tecniche di procreazione medicalmente assistita. Esistono associazioni di coppie omosessuali che decidono di avere figli, come le Famiglie Arcobaleno, e di genitori che scoprono o rivelano la propria omosessualità successivamente alla nascita dei figli, come i Genitori Rainbow. Le qualità di un buon genitore sono indipendenti dal suo orientamento sessuale, così come dall’identità di genere. L’idea che le persone omosessuali, bisessuali o transgender non siano genitori adeguati a causa del loro orientamento e/o identità di genere è del tutto infondata.
Le religioni e le identità religiose sono un mondo molto variegato, con posizioni e considerazioni molto diverse rispetto alla sessualità e all’omosessualità in particolare. In ambito cristiano, è frequente che persone gay, lesbiche, bisessuali o transgender entrino in uno stato di conflitto interiore con la propria confessione religiosa, specie se questa è caratterizzata da dottrine e ideologie integraliste che condannano le varianze sessuali. Molte persone abbandonano le pratiche ufficiali e collettive a causa delle discriminazioni predicate e praticate dalle gerarchie istituzionali e possono integrarsi successivamente in gruppi o chiese che hanno un atteggiamento più libero verso l’omosessualità e le varianze di genere. Nel nostro Paese vi è un grande fermento: sono sorti molti gruppi di base inclusivi che interloquiscono con le gerarchie, e in qualche diocesi cominciano a nascere uffici per una pastorale specifica, nonostante la dottrina non abbia fatto passi avanti, dal momento che non prende in considerazione le persone transgender e annovera ancora l’omosessualità tra le «condotte disordinate».
No, come non lo è l’eterosessualità, almeno se si intende la sessualità come una dimensione globale della persona, fatta anche di sentimenti, comportamenti, relazioni. L’amore, l’affettività e il sesso non possono essere considerati dimensioni della vita riservate esclusivamente alle persone eterosessuali.