Primavera 2017, M. ha 17 anni Da qualche settimana ogni tanto, di pomeriggio esce senza specificare i dettagli ...”mamma, oggi esco, mi trovo con gli amici del gruppo della scuola d'inglese...” “Bene” penso, è sempre ricco di amici, lega con tutti senza problemi... dopo qualche volta per caso gli propongo di dargli un passaggio in macchina per il ritorno anziché prendere l’autobus, per comodità, lui mi dice di non preoccuparmi, che non sa bene dove sarà che ci pensa lui... poi di nuovo... io sento che mi sfugge qualcosa ma di M mi fido assolutamente e penso che alla sua età sia normale non descrivere sempre tutti i dettagli alla mamma. Alla quinta uscita “vaga” una sera mi chiama in camera sua. Entro, è seduto nel letto, piange e quasi trema “mamma ti devo parlare, ti devo dire una cosa” mi guarda negli occhi e io mi siedo vicino a lui sul letto “Dimmi ...” “Mamma io...esco con un ragazzo, mamma io sono omosessuale...te lo dovevo dire, non voglio più raccontarti bugie su cosa faccio” piange tantissimo io lo abbraccio “M perché piangi, io lo immaginavo già da tanto tempo, aspettavo solo che tu realizzassi. Tu sei tu ...PUNTO...non cambia niente” Parliamo un po’, ci confortiamo a vicenda...ci esprimiamo come sappiamo che ci teniamo l’uno all’altro.
Ricordo come fosse ieri quella sera di nove anni fa quando mio figlio, allora quasi quindicenne, rientrando a casa dopo un'uscita a due (suo padre era a uno stage di aikido) per la visione di un film, mi chiese di fermare la macchina al cancello esordendo con: “Mamma, ti devo parlare di una cosa importante”. La cosa non mi stupì affatto, perché già da tempo avevo capito quale fosse il suo cruccio in quanto avevo compreso che doveva fare ancora i conti con la sua omosessualità e con la ricerca di sé stesso; quando si confidò con me ed io gli risposi che non c'era nessun problema mi guardò con quegli occhioni resi velati dalle lacrime di sollievo e ci abbracciammo forte.
Il coming out di mio figlio Giacomo ha significato per me, e probabilmente per tutti i membri della mia famiglia, l’inizio di un percorso di crescita e di miglioramento personale enorme. Giacomo ha scritto una lettera che ha fatto pervenire a tutti e tre contemporaneamente via WhatsApp. L’ha scritta da lontano, dove si era trasferito cinque mesi prima, dopo avere superato la maturità ed avere brillantemente ottenuto una borsa di studio. L’ha scritta con una forte determinazione ma con altrettanta delicatezza verso di noi che non abbiamo reso la sua vita facile, negli anni. Ci ha messi di fronte ad una verità che probabilmente in cuor nostro conoscevamo ma che stupidamente non abbiamo avuto il coraggio di affrontare. La prima reazione è stato il senso di colpa di una madre che non ha saputo capire suo figlio ed accompagnarlo nelle difficoltà della vita, nei suoi primi anni di vita.
Non è semplice essere genitori. Durante l'attesa, leggo tutto ciò che mi passa fra le mani per trovare le “istruzioni per l'uso”: ci sono “esperti” che consigliano come far addormentare i pargoli, con quale intervallo farli mangiare nomi da bimba... nomi da bimbo... giochi da bimba... giochi da bimbo... rosa... azzurro... Poi, un giorno, mi accorgo che la mia bimba gioca con le macchinine e a calcio e penso: “Tutto sommato anch'io non amavo giocare con le bambole, sarà così anche per lei” Eppure ho la sensazione che non sia proprio la stessa cosa. Inizia la scuola: dobbiamo comprare lo zaino e il diario. Io vado verso gli zaini da bimba e la mia bimba verso quelli dei maschi. Sono perplessa. Dobbiamo comprare da vestire: io vado verso il reparto bimbe e lei verso il reparto bimbi. Sono sempre più perplessa. Osservo le altre mamme con le figlie e mi chiedo perché.
Ad Andrea i transformers non piacevano. Li guardava con sentimenti che andavano dal timore all’indifferenza, a seconda di quel che percepiva nella sua emotività variabile. Se poi cominciavano a muoversi si allontanava, preda di una strana inquietudine. Temeva si muovessero ostili contro di lui, per fargli del male. La ragione gli suggeriva sorridendo che non era così, ma c’era qualcosa di più profondo che non poteva controllare. In ogni modo, quei goffi strumenti di guerra, quelle ottuse espressioni di violenza lo irritavano e lo intristivano. L’unica cosa che poteva tran(s)formarsi davvero, con la delicatezza impalpabile e multicolore di una farfalla tropicale era lui, solo lui, non certo quei rumorosi congegni di latta con delle lampadine al posto degli occhi. Ma lui ancora non lo sapeva, e per il momento non aveva neppure bisogno di saperlo.
E’ passato tanto tempo, diversi anni. Sei cresciuto, sei cambiato, siamo cambiati. I ricordi. Eri un pulcino sofferente e impaurito. E io non capivo niente. Ricordo la tua sofferenza e il silenzio. Terribile quel silenzio, per mesi, un macigno che toglieva il respiro. E io non capivo niente. Poi ti sei confidato e ancora il silenzio ma questa volta era il mio silenzio. Quanto è durato? Qualche secondo? Qualche minuto? Non saprei, comunque troppo per te che eri spaventato. Ti ho abbracciato e ci siamo sciolti in un pianto liberatorio. Eri comunque il mio bambino! Mi accompagnerà per tutta la vita il senso di colpa per non aver capito nulla di te, di aver provocato la tua sofferenza e di averti lasciato solo ad affrontare un periodo così duro della tua vita. Eri giovane e tuttavia mi hai presa per mano e mi hai accompagnata in un percorso di conoscenza. Finalmente conoscevo davvero mio figlio. Il nostro rapporto è diventato “vero”. Fino a quel momento eri stato costretto a nasconderti, a fingere di essere quello che io mi aspettavo tu fossi.
Com’era possibile? Nessuno, non conoscevamo nessuno a Palermo che avesse un figlio gay o fosse gay, eppure avevamo amici, parenti, tanti conoscenti. Io e mio marito sapevamo che queste persone esistevano, ma dove erano? Una sicuramente era a casa nostra ed era nostro figlio Salvatore, diciassettenne. Ce l’aveva detto il giorno di capodanno dell'ormai lontano 1998, ci aveva urlato la sua solitudine che da quel momento era diventata anche la nostra solitudine. Lui, appassionato di informatica, aveva trovato nelle chat internet, allora nascenti, fantasmi dell'etere con cui comunicare. Noi, poco tempo dopo, per caso, in una macelleria abbiamo trovato, una rivista poggiata su un tavolino, messa lì affinché i clienti potessero ingannare l'attesa del proprio turno. La rivista apriva con la "posta del cuore" e c'era la lettera di una madre che confidava la sua angoscia davanti al coming out del figlio; rispondeva Agedo, Associazione di genitori di persone omosessuali. Un'illuminazione, non eravamo più soli!
ECCO. È passato un anno. Il percorso è stato affrontato, la transizione da poco terminata. Siamo appena rientrati da Bangkok, inutile dire che non è stata una passeggiata, mi sento ancora addosso la paura e la tensione di quei momenti, quando sai di essere lontano anni luce dal tuo mondo e ti chiedi: "Abbiamo fatto la cosa giusta?"
Vedi la sofferenza fisica, tanta, e non puoi fare nulla, ma hai anche la consapevolezza che era l'unica strada possibile, non c'erano alternative.
Ora posso dire che è stata un'esperienza che mi e ci ha cambiato la vita, sicuramente non siamo genitori fantastici, come spesso ci siamo sentiti dire, siamo semplicemente genitori che amano propri figli; trovo molto più sconvolgente il contrario. Mi chiedo come sia possibile smettere di amare i propri figli e rinnegarli.
Siamo ai parchetti vicino casa, Nicolò scorge una bambina e, tutto felice, le corre incontro urlando "biiiiiba". La bambina ha circa 5-6 anni, è bellissima e si chiama Enia. Le faccio i complimenti per il nome mentre loro cominciano a giocare insieme.
Poco dopo Enia mi guarda perplessa e mi dice "Ha le scarpe sbagliate!" Guardo subito i piedi di Nicolò pensando di avergliele messe al contrario (cosa che ho già fatto, peraltro) e le dico "Ma non mi sembra, le ho messe giuste!" "Eh no, ha le scarpe da femmina!" - ribatte lei - indicando con il dito la "N" colorata di fucsia sulle scarpe di Nicolò.
Credevo di essere libero da pregiudizi verso gli omosessuali, anzi coltivavo a loro riguardo pregiudizi favorevoli: la sensibilità, l'estro, la mitezza; pensavo ai grandi artisti che avevano questo orientamento e a chi sollevava obiezioni dicevo che né Mussolini né Hitler erano omosessuali. Poi assistendo alla sfilata di un pride alcuni anni fa mi venne un groppo alla gola vedendo dei genitori che mostravano cartelli con la scritta "etero o gay son tutti figli miei". Li ammiravo, pensavo alle montagne di dolore che avevano dovuto scalare per arrivare fin là, ma mi turbavano.
I genitori che tutti vorrebbero [Riproduzione da vanityfair.it]
Caro Massimo quindi tu e Patrizia siete di Agedo?
Si…io sono il tesoriere di Agedo Milano che si trova in via Bezzecca 4 e poi faccio parte anche del gruppo di ascolto che si incontra ogni giovedì…facciamo accoglienza ai genitori che hanno appena (o da poco) scoperto che il figlio o la figlia è omosessuale… In ogni caso uno degli obiettivi prioritari di Agedo è la parità dei diritti dei nostri figli.
Facciamo un passo indietro: voi come vi siete avvicinati ad Agedo?
Quando Alessandro ha fatto il coming out, dopo un po’,abbiamo scoperto l’esistenza di Agedo. Per noi è stato fondamentale. Avevo 60 anni e mi si è aperta la testa, è stato un arricchimento, un grande arricchimento, poiché ho conosciuto una parte del mondo a me completamente estranea e che non avrei mai pensato di apprezzare. La conoscenza fa cadere tutti i tabù ed i pregiudizi.
Come avete reagito quando Alessandro ha fatto il coming out?