Poi è toccato a me e alla mia famiglia vivere il disvelamento dell'omosessualità di mio figlio. Qualcosa avevo intuito da tempo e avevo provato a parlargliene, ma lui negava e io ero contento per qualche giorno. Poi non è stato più possibile mentirci. Ho assistito alla mia morte e a quella del figlio che pensavo di avere. Ho pensato a mio padre, alle passate generazioni e ho avuto l'impressione che anche loro fossero state come destituite e ferite da questo fatto.

Ci è voluto tempo e il conforto e il confronto con altri genitori. Sono stati loro la bombola di ossigeno che ha salvato me e la mia famiglia. Un aiuto che potevano darmi solo loro e che non avrei potuto accettare da nessun altro.

Ho poi pensato a quanta sofferenza e malattia può provocare l'omosessualità negata e repressa. E a quanta solitudine avevo abbandonato mio figlio in tutti quegli anni. Pensavo di poter capire tutto e di avere parole per parlare e spiegare tutto, ma non avevo voluto capire mio figlio e non ero stato capace di trovare le parole per andargli incontro.

C'è voluto tempo e piano piano ciò che era chiaro alla mia ragione - l'omosessualità non è una scelta, né un vizio, né una malattia- ha smesso di farmi male allo stomaco.

Ho preso la strada della comprensione e sono ancora in cammino, nel frattempo ho capito che non è e non può essere una marcia in solitaria.

Mi sono messo in cammino

Sono ancora sulla strada della comprensione.

Cristoforo